TRIBUNALE TORINO, SEZ. II, SENTENZA, 12-02-2025, N. 736 - RAPPORTI TRA DOMANDA GIUDIZIALE DI ACCERTAMENTO DELLA RISOLUZIONE DI DIRITTO E RESTITUZIONE DELLA CAPARRA CONFIRMATORIA

Pubblicato il 24 aprile 2025 alle ore 21:02

Con la sentenza n. 736 di data 12 febbraio 2025, il Tribunale di Torino ha avuto modo di pronunciarsi sulle conseguenze che l’inadempimento produce sull’istituto della caparra confirmatoria, problematica molto diffusa nella prassi giuridica, soprattutto in relazione alle compravendite immobiliari. Più precisamente, la Corte torinese si è soffermata sulla mai sopita diatriba del rapporto fra domanda di accertamento dell’intervenuta risoluzione del contratto e domanda di restituzione del doppio della caparra a seguito del recesso della parte adempiente.

La causa affrontata dal Giudice di merito riguarda un contratto preliminare di compravendita concluso fra due società: la P.R.E. S.r.l. (parte attrice e promissaria acquirente) e la società G.F. S.p.a.  (parte convenuta e promittente venditrice). In virtù di tale accordo, quest’ultima si obbligava a vendere alla prima un immobile, stabilendo come termine essenziale la data del 20 giugno 2022, e veniva altresì versata dalla parte attrice una somma di euro 50.000 a titolo di caparra confirmatoria.

Tuttavia, con l’avvicinarsi della data per la stipula del definitivo, il notaio rogante informava le parti circa l’esistenza di gravi e numerose irregolarità urbanistiche e catastali e, conseguentemente, costoro convenivano come nuovo termine (sempre essenziale) per la stipula del definitivo la data del 15.09.2022, con il versamento da parte di P.R.E. S.r.l. di un’ulteriore somma di euro 25.000 a titolo di caparra confirmatoria.

Perdurando le irregolarità urbanistiche già evidenziate mesi addietro, il giorno 15.09.2022 l’atto non veniva stipulato e, in conseguenza di ciò, la società P.R.E. S.r.l. dava notizia alla G.F. S.p.a. dell’intervenuta risoluzione del contratto per scadenza del termine essenziale ai sensi dell’art. 1457 c.c. esercitando altresì il diritto di recesso ex art. 1385 c.c. e chiedendo alla promittente venditrice il pagamento del doppio della caparra versata.

Successivamente, di fronte al silenzio della controparte, la società attrice agiva quindi:

  • per l’accertamento della intervenuta risoluzione del contratto ex 1457 c.c. o, in subordine, a seguito del recesso ex art. 1385 c.c,
  • per la condanna della convenuta alla restituzione del doppio della caparra versata.

La società G.F. S.p.a. resisteva sostenendo che non fosse possibile il cumulo fra il rimedio della risoluzione di diritto ex art. 1457 c.c. e la dichiarazione di recesso ex art. 1385 c.c. e contestando il fatto che il termine essenziale fosse posto nel solo interesse della parte promittente alienante e, come tale, insuscettibile di determinare la risoluzione ex lege del contratto a seguito dell’inadempimento della stessa.

Prendendo in analisi la prima delle richieste attoree, il Giudice di merito accoglie la tesi della compatibilità fra domanda di accertamento della intervenuta risoluzione di diritto del preliminare e la domanda di restituzione del doppio della caparra, richiamando in proposito la recente sentenza n. 18392/2022 della Suprema Corte la quale, nel solco dei principi già affermati dalla sentenza a Sezioni Unite n. 553/2009[1] e della giurisprudenza maggioritaria successiva, ha sostenuto che anche in caso di risoluzione di diritto del contratto, non è astrattamente precluso alla parte non inadempiente di avvalersi della liquidazione anticipata e forfettaria del danno prevista in ragione di una caparra precedentemente versata[2].

Infatti, la circostanza che l’effetto risolutorio si produca ex lege alla scadenza del termine essenziale non impedisce alla parte non inadempiente l’esercizio della facoltà di recesso ex art. 1385 c.c. [3], né preclude alla stessa di adire l’autorità giudiziaria per domandare, anziché il risarcimento del danno, il pagamento del doppio della caparra versata.

Peraltro, come accertato dal giudice di merito nel caso di specie, il termine essenziale era qui stato pattuito esclusivamente nell’interesse della promittente venditrice e, conseguentemente, il contratto non poteva intendersi risolto ex lege ai sensi dell’art. 1457 c.c. dato che l’inadempimento era da imputarsi alla parte nel cui interesse detto termine era stato posto. Difatti, in simili casi, il termine essenziale difetta di un’efficacia bilaterale ed il contratto non può intendersi risolto ex lege per entrambi i contraenti in quanto un simile effetto si verifica solo nel caso in cui l’inadempimento è da imputarsi alla parte diversa rispetto a quella nel cui interesse era stato posto il termine.

Tutto ciò premesso, il Tribunale rigetta la domanda principale, volta all’accertamento dell’intervenuta risoluzione di diritto del contratto e passa quindi ad esaminare la domanda subordinata relativa alla legittimità del recesso ex art. 1385 c.c. per grave inadempimento della controparte e la correlata domanda di restituzione del doppio della caparra, reputandola ammissibile.

Infatti, per la parte adempiente è sempre possibile esercitare stragiudizialmente la facoltà di recesso riconosciutagli dall’art. 1385 c.c. e poi agire in giudizio per ottenere una pronuncia di accertamento dell’intervenuto scioglimento del contratto, anche in ragione del fatto che, come sostenuto da autorevole dottrina, il recesso ex art. 1385 c.c. non consiste in un vero e proprio recesso quanto, piuttosto, in uno speciale strumento di risoluzione di diritto del contratto[4].

In conclusione, la sentenza richiamata si pone in linea di continuità con la più recente giurisprudenza che sostiene che, una volta intervenuta la risoluzione del contratto di diritto per una delle cause previste dagli artt. 1454, 1455 o 1457 c.c., la parte non inadempiente che scelga di limitare sin dall’inizio la propria pretesa risarcitoria alla corresponsione del doppio della caparra versata, è tenuta ad abbinare tale pretesa alla domanda di accertamento dell’effetto risolutorio già intervenuto posto che “la circostanza che la parte invochi un effetto risolutorio già prodottosi in virtù della scadenza del termine essenziale ex art. 1457 c.c. non impedisce alla medesima parte di domandare il pagamento del doppio della caparra”.

 

Francesco Maglio

 

[1] In tale sentenza (Cass. SS.UU., sent. n. 553 del 14.01.2009) la Suprema Corte aveva statuito che se una parte agisce in giudizio per ottenere la risoluzione del contratto ed il risarcimento del danno, costituisce domanda nuova (e quindi inammissibile) quella volta a far valere in giudizio il recesso e la liquidazione forfettaria del danno ex art. 1385 c.c., data l’incompatibilità strutturale e funzionale dei due rimedi. La caparra, infatti, ha una funzione deflattiva del carico giudiziale perseguita attraverso una liquidazione stragiudiziale e forfettaria del danno, mentre l’azione per il risarcimento del danno è esposta all’alea del giudizio.

[2] Cass., sent. n. 18392 del 08.06.2022, la quale, sostenendo la compatibilità fra l’effetto risolutorio di diritto della diffida ad adempiere e il meccanismo di liquidazione forfettaria del danno ex art. 1385 c.c., ha affermato il seguente principio di diritto: “In tema di inadempimento contrattuale, una volta conseguita attraverso la diffida ad adempiere la risoluzione del contratto al quale accede la prestazione di una caparra confirmatoria, l'esercizio del diritto di recesso è definitivamente precluso, cosicché la parte non inadempiente che limiti fin dall'inizio la propria pretesa risarcitoria alla ritenzione della caparra ad essa versata o alla corresponsione del doppio della caparra da essa prestata, in caso di controversia, è tenuta ad abbinare tale pretesa ad una domanda di mero accertamento dell'effetto risolutorio".

Il giudice di merito estende le conclusioni raggiunte dalla Cassazione al caso in esame in virtù dell’identità di effetti fra diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c. e scadenza del termine essenziale di cui all’art. 1457 c.c. e in ragione del fatto che, in entrambi i casi, la parte non inadempiente aveva sin da principio richiesto il pagamento del doppio della caparra versata, non versando dunque in quella posizione di incompatibilità sanzionata dalla pronuncia a Sezioni Unite del 2009.

[3] Il punto, peraltro, è dibattuto e le posizioni dottrinali e giurisprudenziale sono estremamente variegate. Senza pretesa di esaustività, a favore della suddetta tesi si è espressa la Suprema Corte in Cass., ord. n. 14014 del 06.06.2017: “La risoluzione del contratto di diritto per una delle cause previste dagli artt. 1454, 1455 e 1457 c.c., non preclude alla parte adempiente, nel caso in cui sia stata contrattualmente prevista una caparra confirmatoria, l'esercizio della facoltà di recesso ai sensi dell'art. 1385 c.c. per ottenere, invece del risarcimento del danno, la ritenzione della caparra o la restituzione del suo doppio, poiché dette domande hanno una minore ampiezza rispetto a quella di risoluzione e possono perciò essere proposte anche nel caso in cui si sia verificata di diritto la risoluzione stessa”.

[4] A. ZACCARIA, nel Commentario Cian-Trabucchi, Milano, Cedam, 2022, sub art. 1385 c.c., p. 1502.  In giurisprudenza, da ultimo, vedasi Cass., sent. n. 2969 del 31.01.2019.